PAOLO BORSELLINO ESSENDO STATO

scritto e interpretato da

Ruggero Cappuccio

impianto scenico

Mimmo Paladino

immagini

Lia Pasqualino

costumi

Carlo Poggioli

musiche originali

Marco Betta

progetto luci e aiuto regia

Nadia Baldi

produzione

Teatro Segreto srl

SINOSSI

Arrivano per la prima volta in scena le parole pronunciate da Paolo Borsellino che gli Italiani non hanno mai ascoltato, raccontate da Ruggero Cappuccio

Il 31 luglio del 1988 il giudice palermitano denunciava con forza davanti al CSM l’inadeguatezza dei mezzi di contrasto attivati dallo Stato contro la Mafia. Borsellino parla per oltre 4 ore con straordinaria e diretta lucidità.

“Per quanto riguarda la situazione delle forze di Polizia denunciai l’avvicendamento continuo e adoperai anche una frase piuttosto pesante parlando, addirittura di gioco delle tre carte, nel senso che quei pochi uomini che c’erano venivano fatti girare , ma erano sempre gli stessi, solo che uno lo si metteva alla Squadra Mobile, poi lo si spostava al Commissariato di Marsala, poi a Mazzara. O parliamo per enigmi dicendo che c’è una caduta di tensione o che manca la volontà politica, e la gente non capisce bene cosa significa, oppure questi problemi li dobbiamo affrontare concretamente, dobbiamo citare fatti e mettere il coltello nella piaga e dire: “C’è un organismo centrale delle indagini antimafia che in questo momento non funziona più.”

Questo rispondeva paolo Borsellino al CSM, il 31 luglio 1988: era stato convocato per le interviste rilasciate ai quotidiani “La Repubblica” e “L’Unità”, nelle quali aveva denunciato il preoccupante stato di smobilitazione del pool antimafia di Palermo.
Minacciato dall’ombra di imminenti provvedimenti disciplinari, il magistrato parlò per quattro ore di fila: dalle dieci alle quattordici. Nel pomeriggio fu invece ascoltato Falcone.

Brani di questa audizione tesissima, mai resa pubblica integralmente, entrano ora in “Paolo Borsellino Essendo Stato”, racconto scenico scritto, diretto e interpretato da Ruggero Cappuccio. Davanti al Csm i due magistrati affrontarono con chiarezza i delicatissimi temi inerenti l’ assegnazione delle indagini, l’inserimento nel pool di nuovi giudici senza l’adozione di criteri di sicurezza, l’affidamento di procedimenti sulla criminalità mafiosa a magistrati estranei al pool. Dalle loro parole appassionate emergono i complessi scenari che fanno da sfondo alle indagini sul fenomeno mafioso, ma anche lo spirito di sacrificio di chi, pur accerchiato e consapevole delle occulte relazioni tra criminalità organizzata e Stato deviato, aveva deciso di non arretrare. Giovanni

Falcone sarebbe stato ucciso, quattro anni dopo, il 23 maggio 1992 nell’attentato di Capaci. Paolo Borsellino 57 giorni dopo di lui, in via D’Amelio, a Palermo.

Proprio su via D’Amelio, o meglio sull’ultimo secondo di vita di Paolo Borsellino, il 19 luglio del 1992, si concentra il testo di Cappuccio, che dilata questo singolare residuo di tempo in un intenso monologo.
Il giudice disteso sull’asfalto, dubita di essere già morto e dubita di essere ancora vivo. in questa dimensione di lucidità entrano i sogni, l’infanzia, la giovinezza, l’amore di Borsellino per la sua Sicilia aspra e luminosa, per la sua famiglia e per chi ha cercato di proteggerlo e sta morendo con lui. Ma c’è anche l’amico Giovanni Falcone, dall’adolescenza fino all’ultimo abbraccio nel giorno di Capaci.

E c’è la denuncia della solitudine in cui i due magistrati sono stati lasciati, perché esiste una parte deviata dello Stato che vuole controllare la piaga rappresentata dalla mafia ma non guarirla: di quell’infezione ha infatti bisogno, anche per mettere a morte le parti sane del suo corpo che desidera siano messe a morte.

Il testo scritto nel 2004, è stato portato in scena anche da magistrati della Procura di Salerno, di Milano e di Trieste, che hanno voluto fare propria questa denuncia civile. La nuova versione, che include le dichiarazioni davanti al Csm, ci restituisce ancora di più, con la drammatica evidenza delle sue parole, Paolo Borsellino come un eroe moderno lontano dalle tentazioni della retorica. “Palermo non mi piaceva” dice nel monologo “per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace, per poterlo cambiare.”